FORSE NON TUTTI SANNO CHE...

  • A Siracusa, nel I secolo d.c. è sorta la prima comunità cristiana d'Europa. La prima chiesa cristiana fu realizzata su un tempio greco (sono visibilissime ancora le colonne). E all'interno della cattedrale si può leggere: "Ecclesia Syracusana, prima divi Petri filia et prima post Antiochenam Christo dicata".
  • Chi ha detto che gli spaghetti li ha portati Marco Polo di ritorno dal suo viaggio in Cina nel 1295??? Il geogafo arabo Idrisi nel 1154 nel libro che ha scritto per conto di re Ruggero II, descrive Trabia (comune della provincia di Palermo)“come una pianura di vasti poderi né quali si fabbrica tanta pasta da esportarne in tutte le parti nella Calabria e in altri paesi musulmani e cristiani…”
  • Dante e Petrarca in alcune loro opere testimoniano la nascita in Sicilia della letteratura italiana, perchè nella corte palermitana di Federico II di Svevia echeggiarono i versi delle prime poesie italiane con poeti come Jacopo da Lentini (che fu, tra l'altro, l'inventore del sonetto).
  • Il primo trattato di gastronomia che si conosca è del siciliano Archéstrato da Gela e risale al IV sec. a.C.
  • In Sicilia si ebbe il primo Parlamento, nel 1129, con Ruggero II. L'Inghilterra lo ebbe solo nel 1264. Si ebbe il primo Stato "burocratico", vale a dire basato su funzionari e non su una organizzazione feudale (vassalli, valvassori e valvassini). Si ebbe il primo stato "laico", indipendente dalla chiesa di Roma e soprattutto si continuò, come nel periodo arabo, ad applicare uno spirito di tolleranza religiosa e civile che nel resto d'Europa sarà riconosciuta solo nel 1598 (cioè ben quattro secoli dopo) con l'editto di Nantes di Enrico IV di Francia
  • la Sicilia è la patria del grandissimo genio matematico Archimede da Siracusa...non quello di Topolino
  • Le cassate siciliane confezionate nel monastero di Valverde, a Palermo, erano considerate le più delicate della Sicilia. la passione che le suore mettevano nella realizzazione di questo dolce, era tale, che nel 1575, il sinodo diocesano di Mazara del Vallo, ne proibì la realizzazione perchè distoglieva le monache dagli impegni spirituali.
  • Nel dialetto siciliano non esiste nè il futuro semplice, nè il fututo anteriore.
  • Puoi avere la pelle di tutti colori, marrone, nera, rossa...per i siciliani vieni denominato automaticamente "turcu" , Turco.

lunedì 15 novembre 2010

La leggenda della messa interrotta

Gli angioini si sa, non fanno simpatia a nessun siciliano. Grazie a loro, però, abbiamo vissuto uno dei momenti storici più interessanti: con i Vespri siciliani, si ebbe la reazione di un popolo che aveva pazientato e sopportato per 12 anni le angherie dei francesi.
Per questo motivo tutti i siciliani si beccarono la scomunica da parte di Papa Martino IV.

Una leggenda che riguarda l’atrocità dei soldati francesi si racconta a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa.

Nel 1229, quando gli angioini saccheggiavano la città (Chiaramonte Gulfi fu realmente distrutta dagli angioini e ricostruita più a monte nel XIV secolo), nella chiesa dell’Annunziata un gruppo di persone pregava.
Proprio nel momento in cui il Calice era innalzato fecero irruzione in chiesa i francesi che interruppero la messa strappando il calice dalle mani del prete e uccisero tutte le persone che seguivano la funzione.

A mezzanotte in punto si sentì scoccare la campana della chiesa dell’Annunziata ed apparve il prete ucciso con il calice in mano seguito da tutti i fedeli.
I francesi, presi dal terrore e da una strana attrazione nei confronti del corteo iniziarono a seguire i fedeli uccisi fin dentro la chiesa.
La messa iniziò e nel momento della consacrazione, proprio quello in cui avvenne il massacro, un forte vento entrò in chiesa e le mura cominciarono a tremare. Dal basso si aprì una voragine dentro la quale vennero spinti gli angioini, la voragine si chiuse e i fedeli ci ballarono sopra.

lunedì 8 novembre 2010

Efesto e sua nuova vita in Sicilia


Efesto o Vulcano era figlio di Hera e Zeus.

Si racconta che quando Efesto nacque era talmente brutto che la mamma, appena lo vide, urlò dallo spavento e lo buttò giù dall’Olimpo. Il bimbo continuò a rotolare per molti giorni per poi finire nell’oceano dove venne allevato amorevolmente da Eurinome e da Teti (la genialoide che immerse suo figlio Achille nelle acque per renderlo immortale e si dimenticò di bagnargli il tallone).
La caduta dall’Olimpo causò al piccino qualche problemuccio, infatti si dice che fosse deforme proprio a causa della caduta.

Pian pianino il piccolo Efestino crebbe ma dentro covava vendetta nei confronti della mamma disonoratissima che lo ridusse in quel modo.
Ormai grande, diventò bravissimo nel saper forgiare i metalli e utilizzava con maestria martello ed incudine. Preparò la sua officina all’interno di una caverna e ricambiò l'affetto e l'amore ricevuto da Teti e Eurinome, fabbricando per loro dei bellissimi gioielli.
Un bel giorno, ad un banchetto, Teti indossò dei gioielli forgiati da Efesto e tutte le signore le fecero i complimenti per la creazione. Tra queste c’era anche Hera, che, invidiosa del fatto che qualcuno avesse più attenzioni di lei, volle sapere chi avesse creato quelle meraviglie.
Saputa la verità Hera si pentì di aver abbandonato il figlio e decise di incontrare Efesto. Commissionò al figlio un trono d’oro. Convinta che Efesto non l’avesse riconosciuta non svelò la propria identità.
Vabbè che Efesto era storpio ma non scemo! La riconobbe e si volle vendicare.

Decise di preparare per la madre Hera un magnifico regalo: un grande trono e tutto tempesssstato di pietre preziose.
Hihihi…
Quando Hera, vi si sedette non poté più muoversi perché legata da fili invisibili.
Tutti gli dei, compreso Zeus, supplicarono Efesto di slegare la madre, ma lui lo avrebbe fatto solo se gli avessero permesso di vivere sull’Olimpo come tutti gli dei che si rispettino!
Hera a quel punto fu liberata.

Efesto iniziò la sua nuova vita nell’Olimpo ma non gli piacque granché! Dopo un po’ si scoccio’ e decise di trasferirsi in Sicilia e dedicarsi ai suoi lavori all’interno del vulcano Etna. Ovviamente da solo non poteva far tutto. Decise quindi, di ampliare l’azienda e creare nuovi posti di lavoro (una sorta di Berlusconi, ma con la differenza che Efesto li ha creati veramente). Impiegò con contratto metalmeccanico un bel po’ di ciclopi e creò la fucina più grande del mondo!

lunedì 1 novembre 2010

Eolo il dio dei venti



Tutti noi sappiamo chi è Eolo.

E’ il fratello di Mammolo, Pisolo, Dotto, Cucciolo, Gongolo, ed ovviamente manca il nome del settimo nano che nessuno riesce mai a ricordare…

Hihihi

Provo ad essere seria…

Secondo le nostre solite prove scientifiche, pare che la Sicilia si sia staccata dal continente a causa di violenti venti non domati, e proprio per questo motivo Zeus in persona diede ad Eolo il compito di controllare i Venti.

Eolo era bravissimo a dirigerli, come un perfetto vigile!

Li indirizzava e li liberava e poi, quando non dovevano soffiare più, li custodiva dentro le caverne di Lipari, una delle isole Eolie.

Quattro fratelli componevano la famiglia dei venti principali:

Borea era il vento del Nord ed il più violento. Per amore delle cavalle di Dardano si trasformò in cavallo e generò dodici puledri veloci come il vento.

Zefiro era il secondo fratello, il vento dell'Ovest, era molto dolce e leggero, annunciava la primavera.

Euro, vento dell'Est, alternava piogge a periodi asciutti e si diceva portasse il bel tempo.

Austro era l’ultimo fratello, il vento del Sud, molto caldo e portatore di piogge.


Eolo ebbe dodici figli, sei femmine e sei maschi che si unirono tra loro creando altri venti.

Quando Ulisse,come ho già parlato in un altro racconto, arrivò in Sicilia, approdò anche sulle Eolie.

Ovviamente Eolo, felice della visita, lo ospitò e alla fine gli regalò la sacca con dentro, ben serrati, i venti contrari per la navigazione.

Sulla nave di Ulisse per tutto il viaggio di ritorno soffiò quindi solo Zefiro, ma, mentre l’eroe dormiva, i suoi compagni pensando che la sacca donata da Eolo potesse contenere oro, l'aprirono e si liberarono dei venti che scatenarono una terribile tempesta.

martedì 29 giugno 2010

Come capire in Sicilia se una donna è fedele


Un detto siciliano fornisce indicazioni su una donna dal semplice modo di camminare, infatti, attraverso lo sculettare si capisce se la donna è di facili costumi oppure no.

Si dice: “fimmina c’annaca l’anca o è buttana o picca ci manca!” (donna che sculetta o è puttana o manca poco per esserlo. Scusate la volgarità ma il detto è proprio questo).

Quindi attenti uomini, se la vostra compagna sculetta è meglio lasciarla! :-)

Un altro metodo per capire se la donna è fimmina illibata… è quello di portarla a Comiso con in mano un bicchiere di vino…

Che vuol dire?

Vicino al castello di Comiso c’è una fonte chiamata fonte di Diana.

Si racconta che nelle acque della fonte di Diana se una persona impudica e non casta versava del vino, questo non si mescolava con l’acqua.

Ovviamente la credenza si diffuse ovunque soprattutto tra i mariti che portavano le mogli alla fonte e facevano versare il vino per accertare che fossero fedeli :-)

Chissà quanti divorzi!!!!! :-)

venerdì 11 giugno 2010

La decapitazione di San Giovanni Battista


Le leggende siciliane si sa, non risparmiano niente e nessuno, né personaggi storici né quelli biblici!

Quella che voglio raccontare è la leggenda legata alla morte di San Giovanni Battista.

Secondo il vangelo, Erodiade, moglie di Erode Filippo e madre di Salomè, abbandonò il marito e andò a convivere con il cognato Erode Antipa.

San Giovanni Battista, non condividendo questa scelta, condannò pubblicamente la condotta di Erode Antipa.

Erodiale chiese a Erode Antipa di farlo decapitare, ma questi si rifiutò di farlo.

Un giorno Erode Antipa organizzò un banchetto. Erodiale invitò la figlia Salomè che si esibì in una danza che piacque molto a Erode, il quale giurò di darle in premio ciò che ella avesse voluto. Salomè, istigata dalla madre, chiese la testa di Giovanni Battista ed il re non poté rifiutarsi poiché la promessa era stata udita da tutti i commensali. Una guardia decapitò il Santo e portò a Salomè la testa su un vassoio. La ragazza consegnò il vassoio alla madre Erodiade, che ebbe così la sua vendetta.

A Termini Imerese si racconta, invece, un’altra storia...

Si dice che Salomè iniziò a corteggiare San Giovanni Battista, ma egli rifiutò le sue avance. Salomè, decise di vendicarsi e chiese al padre la sua decapitazione. E così fu!

La vendetta, però, non le portò pace, si racconta che mentre camminava le orme che lasciava erano piene di sangue ed ogni volta che provava a riposare le appariva un uomo decapitato.

Decise quindi di viaggiare ed arrivò a Imera, l’attuale Termini Imerese e fece sorgere una chiesa in onore del Santo Martire, ma neanche questo gesto le diede pace in quanto accanto alla chiesa costruita sgorgò una sorgente di sangue.

Presa dal tormento Salomè si gettò in un fiume e morì, scomparendo del tutto.

Si racconta che Salomè appaia il 23 di giugno di ogni anno, la vigilia della festa di San Giovanni Battista. Appena sorge il sole del 24 giugno si rigetta nel fiume per scontare la sua eterna pena.

mercoledì 26 maggio 2010

Il cortile delle sette fate

A Palermo, in un cortile di fronte al monastero di Santa Chiara, ogni notte apparivano sette bellissime fate.

Queste meravigliose creature rapivano per delle ore qualche uomo o qualche donna e li portavano in luoghi straordinari, come gli oceani più profondi, o i cieli più lontani.

Danzavano, cantavano e facevano feste incantevoli.

Appena il sole sorgeva riportavano il fortunato mortale nel luogo in cui era stato prelevato, e poi sparivano nel nulla…


Giusepe Pitrè racconta:

"‘Ntra stu Curtigghiu di li setti Fati, ‘nta la vanidduzza chi spunta ‘nfacci lu Munasteriu di Santa Chiara, vonnu diri ca la notti cci vinìanu sette donni di fora, tutti una cchiu bedda di ‘n’àutra. Sti donni si purtavanu quarchi omu o puramenti quarchi fimmina chi cci parìa a iddi, e cci facianu vidiri cosi mai visti: balli, sònura, cummiti, cosi granni. E vonnu diri puru ca si li purtavanu supra mari, fora fora, e li facianu caminari supra l’acqua senza vagnàrisi. Ogni notti faciànu stu magisteriu, e poi la matina spiriànu e ,un si nni parrava cchiui. Di ddocu nni veni ca stu curtigghiu si chiama lu curtigghiu di li setti Fati."

Le belle signore

Chi ha mai sentito parlare delle belle signore?
Io ne ho sentito parlare da piccola, quando mia madre raccontava ad una vicina di casa che trovava inspiegabilmente mio fratello fuori dalla culla, e la vicina le disse che erano le belle signore che giocavano con lui.

Delle belle signore ne parla anche Pirandello nella novella “Il figlio cambiato” (per conoscere la novella:http://www.filosofico.net/pirandellonovelle/dalnaso/otto.htm).
Le belle signore vengono anche chiamate donne di fuora.
Secondo la credenza popolare siciliana lo spirito di queste donne esce di casa durante la notte.


La bella signora prima di andare a letto comunica a chi gli sta accanto che la notte esce e proibisce a tutti di toccarla durante l’arco di tempo in cui il suo spirito è separato dal corpo.

Si racconta anche che di giorno le belle signore si trasformino preferibilmente in rospi e serpenti e che dunque possa accadere di incontrarle senza accorgersene. Di notte possono andare in giro con aspetto umano.

Si dice che siano un po’ capricciose e che giochino con i bambini anche se prediligono i piccoli appena nati. C’è il rischio che possano anche accanirsi contro di loro fino a farli morire :-(


Si dice anche, che facciano le treccioline ai bimbi e che queste trecce non si devono assolutamente tagliare.

Capita che portino doni oppure indicano nel sonno le truvatura (chi mi segue sa che sono dei tesori).

Vi ho raccontato del cortile delle sette fate.

Si crede che queste sette fate siano proprio le belle signore perché generalmente si muovono in gruppo di sette, escono in volo il giovedì o comunque nei giorni pari.

Le belle signore, appunto chiamate così perché sono molto belle, hanno un forte senso della giustizia, la virtù del silenzio e dell'ubbidienza alle decisioni prese insieme con le compagne di gruppo.

Si racconta che anticamente, chi voleva in casa una "bella signora" doveva prima della mezzanotte, ardere dell'incenso, foglie d'alloro e rosmarino così lo spirito, tentato da quel profumo, si avvicinava.

sabato 22 maggio 2010

La vecchia dell'aceto


In Sicilia Beautiful, Sentieri, Cento vetrine e chi più ne ha più ne metta ci fanno un baffo!

Noi abbiamo storie molto più interessanti, degne di una bella serie televisiva…

Durante il periodo dei Vicerè, nel XVIII secolo, visse a Palermo una “magara” chiamata Giovanna Bonanno.

A lei ricorrevano le donne che volevano sbarazzarsi dei propri uomini.

Giovanna possedeva un veleno molto potente, e questa famosa pozione magica che utilizzava per far uccidere i poveri mariti la scoprì per caso nell'anno 1786, quando venne a sapere di una bambina che si era sentita male a causa dell’ingestione dell’aceto per i pidocchi.

La prima cliente che ebbe fu una sua vicina di casa che desiderava fare fuori il marito perché voleva passare tutto il resto della sua vita assieme all'amante.

Ancora alle prime armi Giovanna non sapeva bene quali erano le quantità che servivano per uccidere qualcuno. Diede quindi alla vicina di casa una boccettina con il liquido velenoso, il marito bevve questo intruglio, ma finì “semplicemente” all’ospedale.

La vicina di casa dovette acquistarne altre due dosi per vedere il marito morto.

Nessun medico riuscì a capire che la causa della morte, e fu così che Giovanna iniziò il suo lavoro di “magara”chiamando la sua mistura "arcano liquore aceto".

Proprio in quel periodo nel quartiere della Zisa iniziarono a verificarsi delle morti misteriose…da fornai ad alcuni nobili della zona, dai giardinieri a qualche molestatore…in pratica Giovanna fece fuori un bel po’ di uomini e ne andava fiera!

Quando aveva quasi ottant’anni, un’amica, una certa Maria Pitarra, le chiese una dose di “liquore aceto” senza dirle chi sarebbe stato lo sfortunato.

Giovanna venne a sapere che l’uomo che avrebbe dovuto bere quell’intruglio sarebbe stato il figlio di Giovanna Lombardo, un’altra amica carissima. La volle avvertire ma non ci riuscì.

Sembra una telenovela, e se continuate a leggere arriva il colpo di scena…

La Lombardo, aveva intanto scoperto che la nuora, attraverso la Pitarra, aveva commissionato la pozione velenosa per il figlio e tramò una bella vendetta nei confronti della nostra magara.

Finse di voler comprare una dose di "aceto", e al momento della consegna si presentò con quattro testimoni, cogliendo in flagrante la Bonanno.

Nell'ottobre del 1788 Giovanna Bonanno fu processata per stregoneria, dove furono chiamati a testimoniare qualche superstite e il droghiere dove Giovanna acquistava l’aceto per i pidocchi.

Il 30 luglio 1789 l'avvelenatrice pendeva dalla forca.

Che ne dite? Non è una degna storia da Beautiful?

mercoledì 12 maggio 2010

Il famoso Giufà


Ognuno di noi, nel proprio intimo, oltre ad avere il famoso fanciullino pascoliano, possede il Giufà siciliano :-)

Giufà o Giucà per alcuni, nella tradizione popolare è uno dei personaggi più conosciuti e più divertenti.

E’ un ragazzino ingenuo, sciocco, un po’ sfortunato. Molte vicende sono vere, anche se possono sembrarci paradossali.

Ricordo che quando ero piccola e mi mettevo lo zaino sulle spalle per andare a scuola, ma anche adesso, quando prendo della roba pesante, mia madre mi dice sempre “Giufà si carricà” :-)

Ed io rido automaticamente!

La storia che segue me l’ha raccontata Caterina, un’amica della pagina “Sicilia” e nuova amica “feisbucchiana”

Un giorno la mamma di Giufà, uscendo disse:- Giufà io sto uscendo. Fra un po' metti due ceci in pentola, in modo che quando torno siano pronti per mangiare.

Giufà fece quello che la madre gli aveva chiesto di fare. Quando la madre tornò a casa vide che la pentola dell'acqua era sul fuoco che bolliva. Ma, alzando il coperchio, non vide nessun legume dentro l'acqua.

- Giufà, figlio sventurato, - disse - ma non ti avevo detto di mettere i ceci in pentola?

- Così ho fatto mamma

- Ma come? Non vedi che non c'è niente?

- Non ho colpa mamma. Anzi io ho fatto meglio di come mi avevi detto. Invece di due ceci in pentola ne ho messi tre. Poi per controllare la cottura, ne ho assaggiato uno, per vedere se era giusto di sale ne ho assaggiato un altro e per vedere se fosse ancora duro ho assaggiato l'ultimo. Per questo motivo non ne sono rimasti.

La mamma di Giufà, senza dire altro, prese un cucchiaio di legno e iniziò a dargliele di santa ragione :-)

lunedì 26 aprile 2010

Richieste al Signore


Questa è una storia molto carina che si racconta in Sicilia e che cerca di spiegare, ironicamente, come il Signore ha distribuito le virtù, i vizi, i beni e i mali agli uomini....e alle donne!!!!

Si racconta che un giorno davanti al Signore arrivò un prete.

“Signore mi daresti una grazia?” chiese il prete
“E che grazia vuoi?” Disse il Signore
“Voglio tutto!” rispose il prete.
“Ti sarà concesso” disse il Signore.

Il giorno dopo si presentò un monaco che che chiese tutto
“Il tutto l'ho già concesso al prete” disse il Signore
“Pazienza” disse il monaco
“E questo ti sarà concesso” rispose il Signore.

Venne un galantuomo che chiese tutto al Signore.
“Il tutto l'ho già concesso al prete” disse
“Pazienza” disse il galantuomo
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo” esclamò.
“E questo ti sarà concesso” rispose il Signore.

Venne un muratore e domandò il tutto al Signore.
“Il tutto l'ho già concesso al prete”
“Pazienza” disse il muratore
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo” esclamò il muratore
“Il diavolo l'ho già dato al galantuomo”.
“Oh, che imbroglio” (in realtà sarebbe oh chi'mbrogghiu, che in dialetto ha un significato più ampio)
“E questo ti sarà concesso” disse il Signore.

Venne un contadino e disse “Signore voglio tutto”.
“Il tutto l'ho già concesso al prete”
“Pazienza” disse il contadino
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo” esclamò il contadino
“Il diavolo l'ho già dato al galantuomo”.
“Oh, che imbroglio!!!!”
“No, l'imbroglio l'ho già dato al muratore”
“Allora quello che vuole Dio” disse il contadino.
“E questo ti sarà concesso”

Venne una donna e chiese tutto al Signore.
“Il tutto l'ho già concesso al prete”
“Pazienza” disse la donna
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo”
“Il diavolo l'ho già dato al galantuomo”.
“Oh, che imbroglio!”
“No, l'imbroglio l'ho già dato al muratore”
“Allora quello che vuole Dio”
“Quello che vuole Dio l'ho già dato al contadino”
“Oh che c....!!!”
“E questo ti sarà concesso”

Per questo motivo i preti hanno tutto, i monaci la pazienza, i galantuomini il diavolo, i muratori gli imbrogli (nel senso che sono imbroglioni), i contadini fanno la volontà di Dio....e le donne....Quello!!! :-)

domenica 18 aprile 2010

Ruggero II e il duomo di Cefalù


Ritorniamo a parlare dei bellissimi normanni....

Nell'agosto del 1129, Ruggero II partì da Salerno per ritornare in Sicilia.

La giornata era bellissima, il sole era splendente, neanche una nuvola macchiava di bianco il cielo azzurrissimo.

Sulla nave, sdraiato a prua, Ruggero, in costumino leopardato, prendeva il sole con un cocktail nella mano sinistra ed una rivista di gossip in quella destra.

Tutto l'equipaggio ballava contemporaneamente YMCA dei Village Peolple....

Ok, smetto di fantasticare, anche se l'immagine di Ruggero II in costumino leopardato e l'quipaggio che alza le braccia per ballare YMCA mi piaceva.

Ritorno in me e racconto la storia in maniera seria...hihihi....

Tutto procedeva secondo i piani...con il mare così calmo e una giornata così bella chi li poteva fermare?

Ad un tratto, però, una nebbiolina iniziò a scendere dal cielo. La nebbia pian piano si fece sempre più fitta fino a quando il cielo non diventò pieno di nuovoloni e si alzò una tempesta.

Il re e l'equipaggio erano terrorizzati, non avevano mai visto qualcosa di simile. L'acqua entrava da tutte le parti, l'interno della nave era quasi distrutto. Il re pregava chiedendo al Signore di salvarlo dalla burrasca. Pregò tanto.

La nave, anche se la tempesta non pemetteva alcun movimento, continuava ad andare avanti come se qualcuno la guidasse e la spingesse per poterla salvare. Come una scena da film, nel buio della notte apparve una luce, era il Signore che disse: "Non temere, io sarò con te".

Ruggero promise al Signore che nel posto in cui sarebbero approdati avrebbe fatto sorgere un tempio alla sua gloria.

A quel punto cadde in un sonno profondo.

La mattina si risvegliò sentendo le urla di esultazione dell'equipaggio. La nave aveva gettato le ancore a Cefalù.

L'anno successivo Ruggero fece ergere una cattedrale, come promesso al Signore (in realtà iniziarono nel 1131, due anni dopo, ma questo a noi non interessa, in quanto le leggende hanno sempre ragione).


Ma parliamo un pò di storia della Sicilia...

Ruggero II fu un grande re. Fece del regno di Sicilia uno degli Stati d'Europa più potenti e meglio ordinati. Nel 1129 creò il primo parlamento della storia. L'Inghilterra lo ebbe solo nel 1264.

Si ebbe il primo Stato "burocratico", vale a dire basato su funzionari e non su una organizzazione feudale (vassalli, valvassori e valvassini). Si ebbe il primo stato "laico", indipendente dalla chiesa di Roma e soprattutto si continuò, come nel periodo arabo, ad applicare uno spirito di tolleranza religiosa e civile che nel resto d'Europa sarà riconosciuta solo nel 1598 (cioè ben quattro secoli dopo) con l'editto di Nantes di Enrico IV di Francia (anche se già qualche decennio prima con Caterina de' Medici, con l'editto di Gennaio, si era permesso ai protestanti la libertà di culto)

mercoledì 14 aprile 2010

Sapete perché gli asini in Sicilia si chiamano scecchi?


Correva l’anno 827 d.C, gli arabi, avevano già conquistato la Spagna con l’Andalusia ed avendo ancora sete di conquiste si gettarono a capofitto nel Tirreno portando la loro guerra santa (gihàd) in Sicilia (e non solo).

Quando gli arabi iniziarono la conquista della Sicilia i bizantini non ne furono molto entusiasti ma alla fine dovettero cedere.

Inizialmente, avendo trucidato un bel po’ di persone, i siciliani erano molto diffidenti nei loro confronti, ma pian pianino gli arabi si dimostrarono come una popolazione di grande tolleranza religiosa e civile.


Ma iniziamo la nostra leggenda….

Non avendo molta fiducia nei musulmani, i siciliani si guardavano bene dall’osannare i nuovi conquistatori. L’ostilità era così tanta che il re arabo Miramolino doveva fare qualcosa per evitare scontri. Uno dei suoi più grandi consiglieri era la figlia Nevara la quale era convinta che con la forza non si sarebbe ottenuto nulla poiché si prendono più api con un ramoscello fiorito che con una grossa botte di aceto. (Che donna!)

In realtà la principessina dava questi consigli al padre perché era innamorata di un giovane nobile siciliano (ovviamente bello. Tranne Polifemo e i ciclopi poi sono tutti belli nelle nostre storie), quindi la signorina voleva portare la pace e la saggezza per un doppio scopo.

Miramolino, ascoltando il consiglio della figlia, permise agli isolani di continuare a lavorare la terra e di commerciare, ma, per fare capire loro che gli arabi erano sempre quelli che avevano il potere proibì di portare armi e non potevano essere più alti di loro. Per questo motivo non volle che la popolazione siciliana montasse a cavallo.

Vada per le armi, che volendo, si possono anche nascondere, ma a cavallo ci si deve andare…

“Né noi, né loro!”

Una bella notte, offesi per l’affronto, i siciliani avvelenarono gli abbeveratoi e in pochissimo tempo morirono tutti i cavalli dell’isola.

Miramolino chiese quindi di fare arrivare delle navi piene di cavalli dal nord africa ma il destino volle che durante una tempesta le navi affondarono tranne una piena di asini.

A quel punto gli arabi furono costretti a cavalcare gli asini e l’immagine era talmente ridicola che i siciliani iniziarono a prenderli in giro.
Gli sceicchi sui somarelli!
Da qual momento in poi in dialetto gli asini vennero chiamati scecchi.

Re Miramolino dopo la figuraccia permise nuovamente a siciliani di poter montare a cavallo e di poter suonare le loro campane. Da questo momento in poi iniziò la pacifica convivenza tra i due popoli.

martedì 13 aprile 2010

La leggenda dei fratelli Palici e del dio Adrano


Voi non lo sapete, ma i siciliani furono i primi geologi della storia dell'umanità :-)

Volete le prove? Eccole...

Riuscirono a dare una spiegazione scientifica al fatto che l'Etna eruttasse dicendo che la colpa fosse dei ciclopi, dei diavoli o di Re Artù (lo abbiamo visto nelle storie che ho scritto precedentemente). In questa leggenda, che sarebbe una delle più antiche della Sicilia, si darà invece una spiegazione scientifica sul ribollire delle acque del lago Naftia, vicino Palagonia, prima capitale della Sicilia fondata da Ducezio (Paliké).

Questo lago esiste ancora ma non è visibile in quanto i suoi gas, come ho letto su wikipedia, sono sfruttati industrialmente.

I fratelli Palici sono figli di Giove e della ninfa Talia. Giove si sa, è il più grande latin lover di tutti i tempi, fa più figli lui che la mia gatta che rimane incinta quando ancora allatta. O meglio, non è che li faccia lui, li fa fare a migliaia di donne all'insaputa della moglie Giunone che, giustamente, si arrabbia "tanticchia".

I fratelli Palici nacquero sottoterra perchè Talia, la loro madre, aveva paura che Giunone potesse ucciderli. La nascita dei fratellini provocò il ribollire delle acque del lago Naftia e gli abitanti del luogo dedicarono loro un tempio molto importante (dei resti del tempio è rimasto ben poco).

In questo luogo di culto si facevano grandi giuramenti e chi osava giurare e poi mentiva, veniva punito con la morte oppure con la cecità.
Ovviamente nessuno osava giurare il falso davanti al tempio.

Per questo motivo è nata un'espressione che mia nonna utilizzava spesso quando doveva giurare qualcosa: "orba di tutti i du occhi", oppure "privu di la vista di l'occhi", cioè che io sia accecato se dico il falso.

Un altro tempio famoso, vicino Paternò, è quello del dio Adrano.

I cani che facevano da guardia al tempio erano mille cirnechi dell'Etna.
Si racconta che i cirnechi erano dei cani intelligentissimi tanto che accolgievano festanti tutti i visitatori del tempio. Aiutavano le persone con problemi di deambulazione, accompagnavano a casa gli ubriachi, ma sbranavano coloro che andavano al tempio per rubare, i bugiardi o chi aveva cattive intenzioni.

Da qui, è nata l'espressione siciliana "chi ti pozzanu manciari li cani", come forma di imprecazione contro qualcuno che fa una cosa malvagia.

domenica 11 aprile 2010

Perché ad un uomo tradito si dice cornuto?


Quando in Sicilia vuoi offendere qualcuno puoi dire di tutto e di più, ma non devi mai utilizzare una determinata parola…suppongo sappiate a quale mi riferisco.

Nello stesso istante in cui un siciliano si sente dire cornuto o si vede davanti qualcuno che solleva la mano con indice e mignolo alzati, si assiste ad un evento da non perdere: la trasformazione di un uomo.

Avete presente l’incredibile Hulk? Stessa cosa!

Le vene iniziano a gonfiare, le narici si allargano, le labbra si distorcono, nel viso appare tutto lo splendore del tecnicolor e dalla bocca iniziano ad uscire parole indecifrabili che non risparmiano le prime, le seconde e le terze generazioni di chi l’ha offeso.

Ebbene si, la parola Cornuto per il siciliano è una grande offesa.

Il valore offensivo di questa parola è di origine medievale, prima di allora, soprattutto in età romana, il cornuto era colui che rappresentava forza e potenza. Spesso i nomi romani venivano accostati a questo aggettivo. Anticamente erano addirittura un ornamento prestigioso. Gli dei venivano raffigurati con le corna. Anche il Mosè di Michelangelo è rappresentato con le corna.

La variazione di significato e la divulgazione in tutta Europa e in tutto il mondo si è avuta grazie alle truppe siciliane che Guglielmo II (detto il buono) inviò a Costantinopoli contro l’imperatore bizantino Andronico I Comneno.

L’imperatore Andronico era una persona molto cattiva e perfida. Uccise l’imperatore Alessio II di cui era tutore, e, salito al potere pretendeva di fare tutto ciò che desiderava. Era un dongiovanni e possedeva le donne con violenza senza badare se fossero o meno sposate. Quando possedeva una donna sposata faceva incarcerare o picchiare il marito e faceva apporre all’ingresso dei loro palazzi teste di cervi o comunque animali con le corna. Questo per mostrare la propria potenza e il trionfo. Proprio per questo motivo nacque l’espressione “fare le corna”, quindi i mariti “traditi” venivano chiamati cornuti.

Ritornando ai siciliani, quando nel 1185 andarono a Costantinopoli e videro questi trofei appesi nei palazzi nobiliari, capirono il motivo dell’espressione cornuto e quando rimpatriarono divulgarono questa curiosità alquanto singolare.

Tempo fa sentivo dire che a Palermo ci si offende per delega. Spesso si sente dire: va dicci curnutu a tò pà. Forse in questo caso è meno pesante?